mercoledì 7 settembre 2011

Paura nella città dei morti viventi di Lucio Fulci

Dopo il colpaccio di Zombi 2 a Fulci viene proposto di continuare con i morti viventi, e lui tira fuori la celebre trilogia composta da Paura nella città dei morti viventi, L'aldilà e Quella villa accanto al cimitero, tutti e tre caratterizzati dalla presenza degli ormai commercialissimi zombie. Al contrario del film di Romero e del sequel apocrifo, qui i morti vengono riportati in vita da oscure e antiche maledizioni mentre l'aspetto scientifico viene del tutto sacrificato. In realtà tutta la trilogia sembra fortemente influenzata dall'horror gotico classico e soprattutto dalla letteratura di H.P. Lovecraft, che in questo primo film viene anche omaggiato indirettamente.
Passiamo alla trama, che tanto per cambiare è il problema più grosso del film.
Tutto inizia con Padre Thomas, il pastore della città di Dunwich, che dopo aver passeggiato per un pò nel cimitero cittadino sceglie un albero e si impicca.
Nel frattempo a New York si sta tenendo una seduta spiritica, ma la medium perde il controllo e una partecipante, Mary, perde i sensi e muore dopo aver farfugliato qualcosa su una città dei morti viventi.
Il reporter Peter Bell vuole vederci chiaro sulla faccenda e senza alcun motivo logico va ad assistere alla sepoltura di Mary. Ma la giovane improvvisamente torna in vita e lui, nonostante il terribile taglio di capelli, se ne accorge e la salva.
La medium naturalmente sapeva già tutto, perché quello che sta accadendo è già stato scritto nel libro di Enoch, un volumone stampato e rilegato (?) la bellezza di 4000 anni prima.
Insomma la coppietta deve andare a Dunwich e trovare il sepolcro di Padre Thomas che con il suo suicidio ha inspiegabilmente liberato una forza capace di riportare in vita i morti.
Una sceneggiatura che purtroppo proprio non sta in piedi, anche se i veri problemi riguardano soprattutto la prima parte. La seduta spiritica, la resurrezione di Mary, il libro profetico di Enoch sono delle trovate davvero sciocche e inutilmente complicate, non solo abbassano i toni ma afflosciano il ritmo ancora prima di iniziare.
Pasticci difficili da ignorare, ma chi vede un film di Fulci, soprattutto se non si tratta di un giallo, non si aspetta finezze narrative e dialoghi teatrali, ed infatti i meriti del film risiedono altrove.
Prima di tutto le atmosfere: nulla di raffinato sia chiaro, ma la fotografia sporca e bluastra, la continua ricerca del macabro a tutti i costi e le musiche ipnotiche di Frizzi producono un risultato davvero notevole. Fulci non cerca di suscitare la paura attraverso suspence e tensione, come negli horror contemporanei o negli zombie movies classici, ma preferisce piuttosto basare tutto sull'immagine disgustosa e rivoltante, ricorrendo anche ad espedienti tipici dell'horror gotico, come ondate di lombrichi, fanghiglia e larve.
Neanche a farlo apposta, gli effetti speciali di Giannetto De Rossi sono il pregio principale di questo filmaccio e forse il motivo per cui ancora oggi è tanto celebre. Tra le tante cose, vale la pena citare la bufera di larve che ricopre i protagonisti, o la celeberrima scena in cui il defunto padre Thomas sorprende una coppietta durante il pomiciamento: lei inizia a sanguinare dagli occhi per poi vomitare le sue stesse interiora mentre lui, un giovane Michele Soavi, rimane a guardarla incredulo. C'è anche un bel cranio trapanato...
Peccato solo per il calo qualitativo nel finale, si vede che le fiamme hanno complicato molto le cose agli effettisti e agli stuntmen.
Questa valanga di schifezze, insieme a delle scenografie claustrofobiche e vissute, rendono Paura nella città dei morti viventi un horror visivamente molto appagante per gli amanti dell'orrido. Se sul piano narrativo lascia comunque molto perplessi, va anche detto che la struttura corale funziona davvero bene e il ritmo rilassato dona alla storia una certa oniricità, rendendola quasi una fiaba macabra.
Incredibilmente gli attori non sono i soliti cani e dei dialoghi non proprio pessimi gli danno una mano.

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